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Quello scoramento che è un pugno nello stomaco

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Sessantacinque anni fa Altiero Spinelli, allora confinato presso l’isola di Ventotene, scrisse quel Manifesto che passa alla storia come uno dei testi fondanti dell’Unione europea. Erano altri tempi, certo, nel giugno del 1941 c’erano Hitler e Mussolini, il fascismo e il nazismo, dittature, leggi razziali e da un anno l’Italia era entrata in guerra a fianco della Germania, una guerra che nei quattro anni successivi sconvolgerà l’Europa causando milioni di morti, terribili distruzioni, inauditi stermini e segnerà la storia degli anni a venire del Vecchio continente.

Sessantacinque anni sono passati da quei primi messaggi, lanciati quasi fossero bottiglie nel mare, per un’Europa di pace, di unione, di coesistenza e di solidarietà. Una visione dell’Europa che non si è mai realizzata compiutamente e men che meno nell’Unione che oggi conosciamo, nella quale i sempre più flebili richiami a una strategia comune e condivisa sono coperti dalla urla degli egoismi nazionali, dalle spinte populiste e dai rigurgiti xenofobi che hanno buon gioco ad aizzare il proprio elettorato contro quell’Europa dei burocrati che, anzichè farsi portavoce di ideali alti e di un pensiero forte, è vista come passaparola dei mercati, della finanza e dei potentati economici, unici riferimenti stabili in un’Unione sempre più magmatica.

Non so come avrebbero affrontato il problema dei profughi e dei migranti Spinelli, De Gasperi, Shuman, Adenauer, Monnet, Churchill, Hallstein, Mansholt, Spaak, padri dell’idea europea. Certo, vedere i loro successori di oggi brancolare nel buio, cambiare idea nel giro di poche settimane al primo stormir di fronda delle opinioni pubbliche nazionali, passarsi di mano in mano il cerino di fronte di quella che è la più massiccia immigrazione degli ultimi decenni, causata da guerre ai confini del vecchio continente e di cui l’Europa nel suo complesso ha fatto di tutto per starne fuori, è uno spettacolo disarmante. Confesso che anche per me, che pure tra i profughi e i migranti accolti in Casa della carità raccolgo ogni giorno impressioni e richieste, anche per me è difficile rispondere alla domanda di chi mi chiede: perchè non ci volete? Mi è difficile spiegare per quale motivo, a loro che chiedono una possibilità, noi, Europa, culla di civiltà, di diritti e di cultura, rispondiamo con un foglio di via.

Che altro deve succedere per cambiar strada? Paesi un tempo considerati all’avanguardia, come Danimarca, Svezia e Finlandia non esitano a espellere migliaia di profughi, a far pagare un prezzo salatissimo per accoglierli, a scegliere quali accettare e quali rifiutare. Per non parlare dei muri eretti in Ungheria, i chilometri di filo spinato ai confini di Austria, Slovenia, Slovacchia. Le frontiere che si vogliono “sigillare” tra Grecia e Macedonia per evitare che chi non ha perso la vita nella traversata del Mediterraneo tra Turchia e Grecia possa farcela ad arrivare a destinazione raggiungendo parenti o conoscenti al Nord. Sigilleranno anche le frontiere tra l’Italia e il resto dell’Europa quando i barconi col mare più tranquillo ricominceranno a sbarcare sulle nostre coste migliaia di persone? Chiederanno di identificare tutti, di fotografarli, prenderne le impronte digitali, triplicheranno gli hotspot e poi? Se nessun paese europeo è disposto ad ospitarli, se gli accordi sulle quote hanno portato qualche decina di profughi in areo da Ciampino a Ostersund, in Svezia, che succederà di queste persone?

Questa Europa non mi piace. Non piace a tantissime persone. È arrivato il momento di dirlo senza per questo ingrossare le truppe dei populisti e degli xenofobi nostrani. È arrivato il momento di dire che “vogliamo un’Europa diversa, un’Europa che costruisca ponti e non muri, maestra di diritti e non di divieti, esempio di buongoverno ma anche disposta a mettere da parte le dure leggi del pareggio di bilancio quando di mezzo c’è da dare un sostegno a chi ha già perso tanto”. Serve, forse, un nuovo Manifesto di Ventotene che recuperi idealità senza trascurare la concretezza, che obblighi l’Europa a decidere con chi stare e ad affrontare finalmente i tanti problemi irrisolti.

Scoramento, rabbia, sconforto, tristezza: non sono solo i sentimenti che provano profughi e migranti, di fronte al bollettino di guerra quotidiano che arriva da tante parti d’Europa. Sono anche le sensazioni dei tanti volontari e delle tante persone impegnate ogni giorno, in Italia come negli altri paesi europei, per dare una mano a chi non ha nessun altro che li aiuti. È una sensazione brutta, un pugno nello stomaco, sentirsi demoralizzati. Guai se l’Europa se ne infischiasse, preferendo blandire i costruttori di muri e di reticolati o gli estensori dei fogli di via.


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